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E il «selvadego» Arlecchino conquistò la City

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E il «selvadego» Arlecchino conquistò la City


A Londra il bergamasco Marcello Magni racconta in grammelot la maschera del Teatro dell'arte
È il bergamasco la lingua più chiacchierata a Londra in queste settimane, sotto il Tamigi a pochi minuti dallo stadio di Wimbledon. Parliamo del grammelot di Arlecchino, la maschera della Commedia dell'arte «nata» da papà Zanni nel borgo medioevale di Oneta - una contrada del comune di San Giovanni Bianco in Val Brembana - interpretato nello spettacolo che porta il suo nome (Arlecchino ) - al Battersea arts centre (Bac) fino al 4 maggio - dall'attore di Bergamo Marcello Magni, classe 1959, dall'83 residente nella City.
Inaugurato nell'80, il Bac è una delle più importanti fucine artistiche della capitale del Regno Unito e dell'Irlanda del Nord. Proprio qui, dal 9 aprile scorso, la Commedia dell'arte made in Italy è tornata a entusiasmare i londinesi, specie quelli più giovani.
Gli spettatori ridono a crepapelle, quando Magni - trasformista come pochi - porta sulla scena lo spirito comico e «selvadego» dello Zanni (ritratto sopra la scalinata d'ingresso di una casa di Oneta), quello scaltro dello Zannetto, infine quello anarchico di Arlecchino. E, dopo oltre un'ora di one-man-show, la sala scopre l'esistenza del filo rosso che lega la Bergamasca ai personaggi del teatro comico rinascimentale, quello stesso che entusiasmò Shakespeare e Molière.
«Sono quasi trent'anni - racconta Marcello - che sognavo di portare sulle scene Arlecchino. Lo spettacolo è un omaggio al bergamasco che c'è in me. Volevo celebrare, davanti a una platea, i valligiani brembani che ho conosciuto quand'ero ragazzino».
Quarantaquattro anni il prossimo 27 giugno, allievo dall'80 all'82 della scuola di recitazione parigina di Jacques Lecoq, morto nel '99, per Magni «Arlecchino è la quintessenza della vita: è un bambino che gioca e non smette mai di creare e inventare».
È il lato «anarchico» del carattere di Arlecchino che piace oggi come ieri: ne rimasero affascinati anche Charlie Chaplin e Buster Keaton, per non dire di Eddie Murphy e Lee Evans. «È una forza della natura», rimarca Magni. Viene in mente la scritta posta sul cartiglio dell'affresco di Oneta: «Chi non è de chortesia, non intragi in casa mia, se ge venes un poltron ce darò del mio baston». Sono le parole dello Zanni, diminutivo di Giovanni, l'uomo irsuto armato di clava, progenitore di Arlecchino. «È un vulcano in eruzione», continua l'attore italiano mentre fa ordine tra le maschere di pelle costruite apposta per la pièce dal padovano Donato Sartori.
Di queste maschere Marcello va particolarmente fiero: «Il papà di Donato, lo scultore Amleto, lavorò con Lecoq a partire dalla fine degli anni Quaranta».
Fu questo mimo francese - fondatore del teatro «fisico» - a dare il «La» assieme a Giorgio Strehler alla Scuola d'arte drammatica Paolo Grassi di Milano. «Ebbi la prima idea dello spettacolo negli anni Settanta, dopo aver assistito al Teatro Donizetti alla rappresentazione del Servitore di due padroni di Carlo Goldoni: in quel periodo ero iscritto alla scuola del teatro bergamasco Le Grazie. E proprio a quell'epoca risale il celebre allestimento dell'Arlecchino servitore di due padroni interpretato da Ferruccio Soleri per la regia di Strehler».
Dopo vent'anni di vita londinese, l'attore - mamma Miranda e papà Corrado sono di Bergamo - parla un ottimo inglese con un accento «british». Ma - lo si capisce conversando in italiano - non ha perso la cadenza bergamasca. Ed è facendo leva su questa che al Bac intercala le battute in dialetto. «Pur non arrivando ad afferrare il senso di ciascuna parola - spiega Magni - il pubblico si diverte fino alla follia. Arlecchino è portatore di una comicità universale, che non ha bisogno di essere spiegata a parole».
Detto di spettatori cresciuti coltivando il mito della lingua più parlata in Europa (l'inglese appunto), tutto ciò suona come un'ulteriore conferma del successo internazionale del teatro comico italiano, dal Cinquecento nelle mani delle compagnie girovaghe. La comicità dello Zanni, che «nuota» nella polenta della baita bergamasca, provoca le stesse risate a Londra come a Parigi.
Pensando al percorso artistico dell'interprete bergamasco degno rappresentante di Dario Fo presso la monarchia inglese (a Londra è stato scritturato anche dallo Shakespeare's Globe), non si può fare a meno di ripetere: «Nessun profeta è bene accetto in patria». «Mi piacerebbe tanto tornare nel Paese dove sono nato. Non mi spaventa, tuttavia, il fatto di continuare a lavorare fuori dell'Italia. Il mio percorso è, per certo verso, simile a quello della maschera di Arlecchino, migrata all'estero».
Spiace - rimane da dire - sentire un attore come Magni commentare che «fare il mio mestiere a Londra è più facile che in qualsiasi città italiana. È più difficile rimpatriare, a meno che tu non sia diventato una star». Viva l'Italia - canta il calabrese Sergio Cammariere nell'album Dalla pace del mare lontano - «paese dell'arte, viva i suoi artisti tenuti in disparte».
Filippo Poletti
Tratto dal quotidiano L'Eco di Bergamo




 

 

 

 

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