Il Tamigi Rinasce
21/8/2004
Il
Tamigi, un tempo ridotto a fogna a cielo aperto, è tornato pulito. Oggi ospita delfini, foche e persino balene lungo il suo estuario.
Per chi passa sul ponte di Blackfriars, in pieno centro di Londra, deve essere uno spettacolo insolito. Distogliere lo sguardo dal traffico cittadino per guardare nel Tamigi, vedere qualcosa saltare nell'acqua e scoprire che sì, si tratta proprio di un delfino, non capita tutti i giorni. E nemmeno fare una passeggiata a
Richmond, nel sud-ovest della capitale, camminare lungo il fiume e sorprendere una foca stesa sulla sabbia che si scalda al pallido
sole inglese.
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Da qualche mese sul Tamigi è sempre più frequente assistere a scene come queste: foche grigie, foche comuni, delfini dal naso a collo di bottiglia e focene (delfinidi, ma più piccoli) non disdegnano una capatina nella City; perfino cavallucci marini e globicefali, un tipo di balene, sono stati avvistati nell'estuario. I giornali inglesi non hanno dubbi: il fiume è più pulito grazie agli impianti di depurazione e a una più efficiente rete fognaria, e i cetacei, che in passato lo visitavano in cerca di cibo, sono tornati. Per oltre 200 anni le fabbriche sorte durante la rivoluzione industriale avevano scaricato i loro veleni nel fiume, diventato una fogna a cielo aperto.
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Gli scienziati ora si chiedono cosa spinga gli animali a risalire il
Tamigi, quanto tempo vi spendano e di cosa si nutrano. La Zoological Society di Londra ha messo in piedi una spedizione di esperti per raccogliere informazioni sulle abitudini degli insoliti ospiti. Lo studio chiarirà anche l'impatto degli esseri umani su foche e delfini, e in base ai risultati si deciderà se costruire migliaia di case alla periferia est.
Ma quel che più incuriosisce è perché animali di acqua salata si trovino in acque dolci. «Niente di strano» afferma
Stefano Furlati, biologo responsabile dei mammiferi marini della Fondazione Cetacea. «Delfini, focene e foche sono mammiferi. A differenza dei pesci, per respirare usano i polmoni e si immergono trattenendo il respiro,
come noi. Immagazzinano enormi quantità di aria nel sangue e possono restare sommersi a lungo. Inoltre lo spesso strato di grasso sotto la loro pelle li difende dai cambiamenti di temperatura e salinità in acque diverse da quelle dei loro habitat. Una minore percentuale di salinità per tempi relativamente brevi non li disturba».
Quando un fiume è pulito, può accadere che i delfini vi si avventurino risalendo la corrente. «Qualche mese fa siamo intervenuti perché un delfino era entrato nel Po per qualche chilometro» racconta Furlati, che fa parte del Pr.In.Ce. (Pronto intervento cetacei), creato per intervenire quando c'è un animale in difficoltà. «Cercavamo di accompagnarlo con la barca verso il mare aperto, credendo avesse perso l'orientamento. Poi ci siamo accorti che non aveva alcun problema e si stava nutrendo di pesci siluro, specie esotica oggi diffusa nel Po».
Se queste siano le avvisaglie di una più stretta convivenza tra uomini e pesci, è da vedersi.
Intanto, c'è già chi esprime viva soddisfazione. Un pescatore inglese ha dichiarato al quotidiano The Independent che finalmente, dopo settant'anni, è riuscito a catturare una trota da un ponte londinese.
Gentilmente tratto dal settimanale Panorama