LA REPUBBLICA, 9 Giugno 2002
Dicono che gli europei sono anti-americani e gli inglesi no. Fino a un certo punto. Gli inglesi possono essere ferocemente innamorati della loro originalit? del loro accento, delle loro stranezze, al punto da considerare il confronto con gli americani offensivo.
Prendete quello che ?successo al "Booker Prize". E' un piccolo premio di letteratura britannico, cresciuto un po' alla volta, negli anni '70 e '80, fino a diventare un piccolo evento, una piccola tradizione. Giè la selezione della lista dei cinque candidati ?oggetto di interminabili discussioni sulla stampa, poi la vittoria si trasforma immancabilmente in un successo editoriale sul mercato interno, e talvolta anche europeo. Il "Booker Prize" ?stato
decisivo nel far conoscere in Italia, per esempio, i nuovi scrittori in lingua inglese. Salman Rushdie lo vinse nel 1981 con "I figli della mezzanotte", Kazuo Ishiguro nel 1989 con "Ci?che resta del giorno", Arundhati Roy nel 1997 con "Il dio delle piccole cose", JM Cotzee ha trionfato due volte, Ian McEwan vi ha sugellato la sua carriera nel 1998 con "Amsterdam".
Ma il "Booker Prize" aveva una caratteristica un po' curiosa: era aperto a tutti gli scrittori in lingua inglese del Commonwealth. Dunque includeva, affianco ai britannici, canadesi pakistani indiani australiani sudafricani e caraibici. Ma non statunitensi. Una esclusione così improponibile e così dannosa per gli appetiti della case editrici che il nuovo sponsor del premio, il gigante "Man Group", ha deciso di rimuoverla dal 2004. E giàgli
inglesi gridano allo scandalo. Per loro, avere i grandi scrittori americani in lizza vuol dire due cose: perdere sempre contro i cuginoni meglio attrezzati e più sostenuti dalla pubblicit? e perdere quel tanto di "vecchia Inghilterra", di club letterario, di fecondo provincialismo che il Premio rappresentava.
La trivializzazione dello scontro letterario, così introdotta, è stata paragonata a una "Wimbledon dei libri", dove gli inglesi dovranno vedersela in scontri diretti con quelli del "Pulitzer" americano, a una "Ryder Cup" dove invece che a golf gli statunitensi batteranno gli inglesi nella scrittura.
I più rilassati, per fortuna, sono proprio gli scrittori che il premio l'hanno giàvinto. Della competizione transatlantica non sembrano aver paura, anzi. Come ha detto giustamente Arundhati
Roy, "la cosa bella della scrittura ?che la sfida ?solo tra te e il tuo lavoro; è una gara tra me e la mia penna o il mio Mac, così come per Roth o Updike è una gara tra loro e la loro penna o il loro Mac". Tutto il resto, ?nostalgia di un tempo che non c'?i? quando l'Atlantico era largo, e non veniva solcato alla velocit?della luce da milioni di e-mail e da miliardi di bit.