Londra,
6 arresti legati ai kamikaze di Tel Aviv
LONDRA A Londra è caccia aperta agli estremisti
islamici che potrebbero avere affiancato e aiutato i
kamikaze britannici responsabili dell'ultimo
attentato al Mike Bar di Tel Aviv dove sono rimaste
uccise tre persone, oltre a un attentatore, ed altre
cinquanta ferite.
Agenti dei servizi segreti del MI5, della Special
Branch di Scotland Yard e dell'antiterrorismo, hanno
bloccato e arrestato finora sei persone (3 uomini e
3 donne) ritenute in un qualche modo collegate con
gli ambienti estremisti che possono aver facilitato
l'azione suicida. I sei arrestati sono stati
rinchiusi nel carcere di massima sicurezza di
Paddington Green, a Londra, dove vengono
interrogati.
Insieme agli arresti, molte le perquisizioni, mentre
è scattato un nuovo allarme sulle reti terroristiche
che esistono in Gran Bretagna.
A Rafah (Gaza), intanto, ha destato grande
impressione l'uccisione del cameraman britannico
James Miller, falciato venerdì dai colpi sparati da
un blindato israeliano: il sanguinoso episodio
conferma il tragico primato di morte della cittadina
nel sud della striscia di Gaza e rilancia l'allarme
sui rischi a cui sono esposti i pacifisti
occidentali e i giornalisti chiamati a informare
sull'Intifada, tra i quali si contano ora nove
caduti.
A Rafah, oltre a Miller (39 anni), aveva già perso
la vita la giovane pacifista americana Rachel Corrie
(24 anni), travolta e uccisa nel marzo scorso da un
bulldozer del genio israeliano. Rimane invece in
coma irreversibile un altro «scudo umano», il
britannico Tom Hundhall (21 anni), colpito tre
settimane fa alla testa sempre a Rafah dal fuoco dei
soldati israeliani.
Situata al confine tra la Striscia di Gaza e
l'Egitto, Rafah è uno dei luoghi di scontro più
violenti tra israeliani e palestinesi, soprattutto
nella zona dei campi profughi e della cosiddetta
Porta del Saladino, dove dall'inizio della seconda
Intifada (settembre 2000) sono stati finora uccisi
decine di palestinesi. Lungo la frontiera, Israele
sta costruendo un «corridoio di sicurezza» tra le
sue postazioni militari e il centro abitato di Rafah.
Nel caso dell'uccisione di Miller, l'esercito ha
affermato di essere stato impegnato, l'altra notte,
nella demolizione di un'abitazione collegata a un
tunnel per il contrabbando di armi. I soldati
avrebbero risposto al fuoco di miliziani
palestinesi, ferendo mortalmente al collo il
cameraman britannico. Alcuni testimoni, però,
sostengono che i soldati hanno sparato senza un
motivo apparente e nonostante Miller fosse
chiaramente riconoscibile come giornalista
straniero. L'Associazione della stampa estera in
Israele e nei Territori ha denunciato l'accaduto e -
rilevato «il recente aumento di uccisioni e
ferimenti di non combattenti» - ha invitato
l'esercito israeliano «a non nasconderlo sotto il
tappeto con generiche dichiarazioni sui pericoli
nelle zone di guerra».
Tratto dall'Eco di Bergamo
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