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Melanconia di Giorgio De Chirico
"Melanconia" del 1912 è una delle tele di Giorgio De
Chirico acquistate dal sociologo americano Eric
Estorick -divenuto collezionista, scrittore e
mercante d'arte a Londra- che sono ancora nel museo
di arte italiana che porta il suo nome.
Il soggetto, una scultura di donna dormiente, è
tratto da un marmo romano dei Musei Vaticani, copia
di un originale ellenistico, e raffigura Arianna tra
l'abbandono di Teseo e l'arrivo di Dioniso che la
prende in sposa. È un motivo in cui rivive il
profondo coinvolgimento dell'artista con tutto il
pensiero nietzschiano. Nel caso specifico, una
metaforica sovrapposizione tra la principessa
cretese e l'agognata Cosima -prima von Blow e poi
Wagner- per la quale egli si firmava Dionysus nei
biglietti d'amore.
De Chirico avrebbe ripetuto quel tema a tempi brevi,
sempre con le medesime architetture, mutuate da
un'idea delle piazze di Torino in cui si
intrecciavano memorie dirette (i pochi giorni di
servizio militare ivi trascorsi) e indirette, dalla
biografia di Nietzsche che lì aveva definitivamente
perso la ragione. A identificarne la serie fu
l'americano J. Thrall Soby, che pubblicò cinque
dipinti del medesimo soggetto, tutti datati 1913:
"Arianna", "La ricompensa dell'indovino", "Gioie ed
enigmi della strana ora", "Il pomeriggio di
Arianna", "La statua silente", cui più tardi
aggiunse "Melanconia", "La Melanconia di un bel
giorno" e "La spossatezza dell'infinito".
La
Estorick Collection ne ha tratto lo spunto per
l'importante -per quanto piccola- esposizione
«Giorgio De Chirico e il mito di Arianna», in cui la
serie delle nove tele si completa con alcune
sculturine d'epoca di autori diversi (riedizioni del
medesimo soggetto), un rifacimento approssimativo di
"Malinconia" (forse del '20, forse quasi coevo, e
mai finora esposto insieme alla prima versione)
chiamato "Memoria d'Italia", nonché una scelta di
disegni preparatori e, in una sala a parte, un
gruppo dei discussi dipinti di soggetti simili
realizzati tra la seconda metà del decennio '20 in
poi ("Piazze d'Italia"), quando il pittore -ormai
impegnato solo, a suo dire, nel recupero dell'arte
rinascimentale e barocca, e inviso per questo ai
surrealisti che tanto avevano apprezzato la fase
metafisica- rifaceva i suoi vecchi quadri datandoli
a volte trenta e più anni prima. Non tanto di
nascosto, tuttavia, se in galleria si dice ancora
che Eric Estorick gliene aveva chiesto le ragioni,
sentendosi rispondere candidamente "...e cosa ci
posso fare se tutti lo vogliono?". Tra le citazioni
celebri, poi, troviamo un suo assioma:
"Ogniqualvolta mi ripeto, non faccio una ripetizione
ma una variazione". Cioè un dipinto non è mai un
timbro: ciò può farlo apparire oggi un antesignano
dell'arte moltiplicata; di Warhol in particolare,
alle cui rielaborazioni delle "Piazze d'Italia" è
dedicato un capitolo del catalogo.
La mostra rende omaggio al pittore dei nostri tempi
più famoso al mondo, ma è anche una testimonianza
della sua strana duplicità nel lavoro e negli umori,
anche con se stesso. A Roma -è un esempio personale-
abitavo in vista della sua terrazza di Palazzo dei
Borgognoni a Piazza di Spagna e mi servivo dal suo
stesso giornalaio (se ne sono andati a breve
distanza l'uno dall'altro) che era una persona
gradevolissima con la quale usavo scambiare qualche
chiacchiera. Mi diceva sempre se il Maestro era
passato o no a comperare l'ultimo album di Pecos
Bill per trarne i modelli dei suoi cavalli; e pare
glielo dicesse ridacchiando di soddisfazione quando
per lui erano buoni. Ma un minuto dopo poteva
diventare arrogante e brusco con chicchessia.
Qui possiamo confrontare la sua genuinità originaria
con i suoi "originali artefatti d'autore": segni di
un modo per rinnovarsi accanendosi contro il suo
passato, negandolo a forza di rifacimenti, anche se
il mercato continuava sempre a mantenere alti i
dislivelli tra le epoche. Non è il mito di Arianna,
quindi, quello che la mostra ci presenta, ma il mito
del De Chirico di Arianna costruito da lui, Pictor
Maximus.
Ennio Pouchard
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