Londra, fine Gennaio 1999.
"Eh, you, Italian! Sing a song! Spaghetti, pizza, mandolinou?".
Frase tipica, in questa grande città retta da perfetti gentlemen e invasa da gente di tutte le razze; frase comune, ripetuta ogni sera, gridata da un lato all'altro di una strada o ridacchiata da un cameriere in un locale; frase ricorrente, che rappresenta uno stereotipo duro a morire, nonostante gli Italiani non siano più gente da girare per le strade fischiettando "O sole mio", se mai lo sono stati.
E il luogo comune persiste, a dispetto del crescente numero di Italiani "veri" che sbarcano in queste terre. Migliaia di ragazzi vanno e
vengono dall'Inghilterra, grazie al traffico aereo a basso costo, in cerca di lavoro, studio, divertimento, o più semplicemente in fuga dalla famiglia e da una societàa volte troppo oppressiva e conformista.
I nostri connazionali a Londra sono molti: c'?hi dice alcune decine di migliaia, c'?hi dice di più vengono soprattutto dal Nord, ed hanno tra i 20 e i 25 anni. Li puoi incontrare sulla metropolitana, oppure per le strade la sera, o ancora nei vari locali dove lavorano, come camerieri, lavapiatti, sguatteri, manovali. Scambiando due parole, ti puoi accorgere che la vita qui Non è acile, come Non è acile continuare a credere nelle leggende che fanno di Londra un luogo di culto per la nostra generazione.
Chiara ?toscana, e lavora nel Burger King di Piccadilly
Circus. La incontri sulla metropolitana, stanca per la giornata di lavoro. E' contenta se trova degli italiani: si può sentire "a casa" per qualche minuto. Ti invidia: tornerai in Italia prima di lei, e potrai prima di lei lasciare questo posto piovoso, popolato da gente scontrosa per cui vali meno di un penny. Nonostante Londra voglia dire fatica, e freddo, e affitti alle stelle, e spesso solitudine, non la lascia, e parla di "altri tre mesi? forse quattro". Va avanti così da un anno e più Se la incontri il giorno dopo, magari proprio nel Burger King, non ti riconosce neanche più
Marco, invece, ?di Roma, e lo senti subito, dall'accento che si porta dietro come un distintivo. Lo incontri la notte, tra Tottenham e
Covent Garden, che cerca una discoteca dove incontrare alcuni
amici. Lui il lavoro non ce l'aveva, fino a poco tempo fa. L'ha cercato solo quando i soldi cominciavano a finire, un po' per l'affitto, un po' per le serate tra amici, un po' per il cibo, che in questa città ?carissimo.
Fa il lavapiatti, otto ore al giorno a quattro sterline l'ora, e sa di essere un precario, perché molti sono disposti a fare turni anche più impossibili del suo pur di prendergli il posto. Se gli chiedi perché è qui, non lo sa: aveva un sogno, di seguire un corso di specializzazione da venti milioni, ma l'ha quasi perso per strada. E' senza molte prospettive, o forse ha molta voglia di non averle più Ti chiedi se ce la far? e ti chiedi soprattutto cosa far? Quando ti saluta, non ti resta che augurargli buona fortuna.
Ci sono poi altre storie, storie di
successi, di carriere fulminanti. Ma di queste storie, ai ragazzi che invadono Londra in ogni stagione, importa poco. Non sono qui per inseguire il successo, non sono qui per rifarsi una vita. Seguono un sogno, cercano il divertimento, fuggono dalla "normalit?quot; troppo banale che trovano in patria; vivono in un continuo presente, senza nessun progetto definitivo, rimandando le decisioni di settimana in settimana. Vivono il "mito" di Londra: Candem Town,
Carnaby Street, Soho, l'ambiente multiculturale, il meltin' pot di ogni diversit? E lo vivono giorno dopo giorno, senza chiedersi troppo il perché e senza farsi troppi problemi. Quelli li attendono in Italia, e forse ?da quelli che fuggono.
Paolo Crosetto